1 UN’IDENTITÀ DEL SITO ATTRAVERSO LE TRACCE DELL’ANTICO








1. Un’identità del sito attraverso le tracce

dell’antico sistema abitativo, difensivo e di avvistamento


1.0 L’antico sistema difensivo e l’urbanistica medievale del sito


Nell’antichità Sestri Levante era costituita da un isolotto, sul quale ancora si eleva un piccolo promontorio che dal lato sud è a strapiombo sul mare. Solo in età moderna l’isola fu definitivamente unita alla terraferma da un sottile istmo formato sia dai depositi delle costanti alluvioni dei torrenti Gromolo e Petronio, sia dall’azione del mare; l'istmo doveva essere più sottile e più basso dell'attuale. Il fondo malcerto e sabbioso, le infiltrazioni del mare, specialmente in seguito a fortunali, e l'afflusso delle acque piovane rendevano paludoso il suolo alle pendici dell'isola.

I pochi riferimenti degli autori dell’età classica e la scarsezza dei ritrovamenti non permettono di definire la situazione di Sestri e dell’isola nel periodo Romano e nei primi secoli del Medioevo; è probabile che l'isola (o penisola) fosse utilizzata già prima del Mille, forse dal VII secolo, come luogo di facile difesa, in cui la popolazione potesse trovare protezione dalle eventuali offese nemiche. E’ però difficile stabilire se un insediamento stabile fosse già presente prima del XII secolo, quando la Repubblica di Genova ne tolse il possesso ai monaci di San Fruttuoso; risale a quel periodo una serie di documenti riguardanti la popolazione che venne ad abitare «in insula Segestri» -e si impegnò a rimanervi - dopo che essa era passata sotto il dominio genovese.

Nel corso del XII secolo i Fieschi, conti di Lavagna, conquistarono Sestri Levante; nel 1139 la Repubblica di Genova, che vedeva come una continua minaccia il progredire della contea fiescana, costrinse alla resa i Fieschi e li obbligò ad una convenzione con la quale essi le cedevano le loro terre, nelle quali concesse poi loro di rimanere, non più come padroni ma come feudatari. Il territorio di Sestri Levante rimase loro assegnato in feudo, tranne l’isola che era in possesso dei monaci di San Fruttuoso, i quali, per antiche concessioni imperiali, erano affrancati da ogni giurisdizione di conti e degli stessi messi imperiali.

I monaci cedettero poi l'area alla Repubblica di Genova, che nel 1145 vi edificò un castello e delle mura sulle rupi dominanti i due porti naturali, costituendo così una fortezza a difesa della costa e dei paesi che la costellavano: il controllo di Sestri per Genova era divenuto un’effettiva necessità, perché a seguito della sua posizione strategica, favoriva il controllo e la sicurezza delle navigazioni lungo le rotte della Liguria orientale dirette a sud.

Il castello non doveva possedere una struttura articolata e di grosse dimensioni, ma consistere piuttosto in una rocca compatta e di media grandezza; l’intero complesso era composto da castello, torri di avvistamento, cinta muraria con tre porte di accesso alla penisola.

Il sistema difensivo venne smantellato con l’assedio dei Fiorentini e dei Veneziani, nel 1432, e almeno parzialmente ricostruito nel 1440 dall’architetto Leone da Bissone, chiamato dai Genovesi. Nel Settecento il castello era ancora intatto nella zona orientale dell’isola, circondato dall’ampio cerchio di mura; tali mura caddero in abbandono a partire dall’Ottocento; dallo stesso periodo la zona occupata dal castello venne trasformata in cimitero, ancora ben visibile nelle foto d’epoca degli inizi del Novecento.


Il progressivo sviluppo urbanistico di età moderna e contemporanea, gli eventi bellici o semplicemente il corso del tempo hanno cancellato buona parte dei manufatti di età medievale sulla penisola; tracce dell’antico fortilizio si trovano ancora nella zona più alta della penisola, a picco sul mare, appena sopra San Nicolò e i Castelli Gualino.

L’interno della penisola mantiene tuttavia una spiccata spazialità medievale, e conserva alcune tracce certamente assegnabili al periodo. I tre itinerari che la percorrevano sono ancora presenti: quello più ad est, l’attuale via alla Penisola di Levante, quello centrale, attuale vico Pozzetto, e quello ad ovest, le attuali via alla Penisola di Ponente e via Cittadella. Quest’ultimo era forse il percorso principale di accesso alla penisola; la porta esistente su di essa nel Medioevo non è più riconoscibile, ma nell’ultima parte la via costeggia ancora un tratto della cinta muraria, un tempo provvista anche di tre torri.

Nei pressi dei ruderi dell’oratorio di Santa Caterina (scheda 2.2), nei pressi dell’arco sovrastato da merlature che conduce nell’interno della penisola, si trovava l’antica porta orientale di accesso all’isola, fiancheggiata da torri, distrutta dai bombardamenti del 1940-1945; collocate sul prospetto di una recente costruzione, si notano ancora due trifore gotiche, con archetti ogivali in mattoni e colonnine in marmo bianco e capitelli a foglie d'acanto, ciò che resta di visibile di una delle torri che fiancheggiavano la porta.

Percorrendo vico Pozzetto si incontra un arco di pietra sovrastato da un fabbricato a due piani formato da due corpi a torre, coronati da merlatura e archetti aggettanti; qui si trovava un’altra delle porte che in epoca medievale conducevano alla penisola.


Nella zona di piazza Matteotti e dell’istmo, in particolare nel versante rivolto verso la baia del Silenzio, un percorso ed una spazialità ancora medievali convivano con gli insediamenti nobiliari che in seguito vi si sono sovrapposti (parte III). Particolare rilievo per quanto riguarda l’ambito urbanistico e strategico dell’istmo tra Medioevo ed età moderna assumono due edifici: la cosiddetta torre “dei Doganieri”, in vico Macelli (scheda 1.2), e l’edificio a torre oggi albergo Miramare, in piazza Cavour, all’incrocio tra vico Cappellini e vico Miramare (scheda 1.2).

La necessità nel corso del XVI e del XVII secolo di avvistare le continue incursioni da parte dei Turchi è probabilmente all’origine della presenza di numerose torri di avvistamento e di segnalazione - quasi certamente, però, edificate su delle preesistenze - disposte sui promontori più avanzati, in particolare sul punto più esposto della penisola (torre Marconi, scheda 1.1), e all’estremità di punta Manara (torre di punta Manara, detta “del Telegrafo”, scheda 1.3).







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